In questa guida spieghiamo come rifiutare un pacco in contrassegno.
Negli ultimi anni c’è stato un aumento esponenziale delle vendite online, complici i ritmi sempre più serrati della vita quotidiana e la pandemia, che ha obbligato l’intera popolazione a restare a casa, inducendo molti a fare acquisti via internet. Abiti, pezzi d’arredamento, accessori, elettrodomestici fino ai prodotti alimentari, un immenso centro commerciale virtuale dove trovare tutto ciò che serve e si desidera.
Una spinta all’aumento del fenomeno è arrivata anche dall’ampliamento delle modalità di pagamento, che prevedono sia il bonifico, sia la carta di credito che il più classico contrassegno. Il contrassegno è la prima forma di pagamento introdotta per le vendite a distanza e probabilmente è stata anche la più utilizzata fino a qualche anno fa, dal momento che non tutti avevano dimestichezza con i pagamenti virtuali. In via esemplificativa possiamo dire che il contrassegno richiede il pagamento della merce ordinata al momento della consegna da parte del vettore.
Le transazioni che si effettuano fuori dal negozio fisico possono dare vita a diversi problemi che il nostro ordinamento deve regolare in modo dettagliato. Parliamo, per esempio, della possibilità di rifiutare l’articolo ordinato una volta che il corriere lo consegna e, ove ciò sia possibile, delle modalità per esercitare diritto.
Per sciogliere tali dubbi e fornire una trattazione chiara della questione, ci occupiamo in questa sede del diritto al ripensamento e dell’iter da seguire per rifiutare il pacco consegnato in caso di pagamento in contrassegno.
Indice
Vendita in Contrassegno e Diritto di Recesso
Il pagamento con contrassegno è una garanzia contro le truffe online. Infatti, nonostante l’enorme flusso di acquisti fuori dal negozio e le maggiori garanzie prestate rispetto al passato, molti utenti preferiscono pagare una piccola cifra in più pur di ottenere il contrassegno. La ragione risiede essenzialmente nella mancanza di fiducia nei marketplace meno conosciuti, che non hanno servizi di assistenza telefonica e quando inviano un pacco con merce guasta o non corrispondente a quella ordinata non permettono cambi o sostituzioni, con la conseguenza che chi acquista perde il denaro anticipato e resta senza la merce scelta.
Potrebbe anche accadere che chi acquista cambi idea, ritenendo l’articolo inutile e non più di suo interesse. È proprio in questo caso che sorge il dubbio se sia possibile o meno ripensare alla propria scelta, chiedendo al postino di riportare il pacco al mittente. Facciamo l’esempio di un abito acquistato in un momento di shopping folle, di cui ci si pente qualche giorno dopo. In questo caso il problema non è la qualità della merce né la corrispondenza con quanto ordinato, ma solo la volontà di non voler più acquistare quell’articolo perché non è più di proprio interesse.
Anche se sembra strano che ci si possa tirare indietro dopo aver fatto partire un ordine e messo in moto la macchina della consegna, il ripensamento di un acquisto si verifica molto frequentemente, tanto che la dottrina è intervenuta dando anche un nome a tale diritto: diritto al ripensamento, che equivale al più conosciuto diritto di recesso.
Abbiamo già detto che il pagamento al contrassegno è più sicuro e conveniente dal punto di vista economico, ma non dà alcuna garanzia circa la qualità del prodotto e la corrispondenza tra ciò che si è ordinato e quello che, invece, è stato consegnato. Proprio per questo il nostro ordinamento ha previsto il diritto di recesso, che potremmo definire, in via esemplificativa, il diritto al ripensamento quando il consumatore che ha scelto l’articolo Da ordinare ne ha richiesto la consegna ma, una volta pervenuto il pacco a casa cambia idea, decidendo di non volerlo più tenere.
Tale possibilità è consentita purché venga esercitata in modo corretto entro i 14 giorni successivi alla consegna. Inoltre, se si rispettano i termini e si segue correttamente la procedura, il venditore sarà tenuto anche a restituire il prezzo di vendita.
Per esercitare il diritto al ripensamento in modo corretto, è importante comunicarlo immediatamente al corriere che esegue la consegna. Questi, infatti, deve prendere atto della volontà del ricevente indicandolo nel suo registro che verrà poi notificato al mittente che sarà reso edotto del rifiuto del cliente. È importante sottolineare che il corriere non può mai obbligare a ricevere la merce, neanche se fosse a titolo gratuito né può chiedere il rimborso delle spese postali sostenute. Ricordiamo, infatti, che rifiuti, richieste di restituzione dei soldi e ogni possibile contestazione deve avere luogo tra venditore e acquirente successivamente al rifiuto.
Non è raro che alcune società utilizzino come forma di pubblicità l’invio di articoli a titolo gratuito, come ad esempio, le prime uscite di una catena di romanzi, pezzi da collezionare o prodotti cosmetici di cui si intende far conoscere i benefici. Anche in questi casi e nonostante l’iniziale consenso prestato dall’utente telefonicamente o via mail, è possibile esercitare il diritto di ripensamento, rifiutando di ricevere il pacco al momento della consegna.
Sappiamo che la vendita è un negozio giuridico a prestazioni corrispettive, che ha natura sinallagmatica. Questo significa che ha luogo tra due soggetti e che entrambi si obbligano a una prestazione, l’uno a vendere e l’altro a versare una somma di denaro e quando l’accordo si perfeziona e diventa definitivo, nessuno dei due può fare passi indietro, evitando o rifiutando il pagamento.
Il momento del perfezionamento, però, cambia in base al luogo in cui avviene la vendita: nei negozi fisici, ad esempio, la transazione si perfeziona con la consegna della merce e il relativo pagamento alla cassa, o con la firma della nota d’ordine. Per le vendite online, invece, il momento è quello del click sull’icona Ordina, mentre nelle transazioni che avvengono telefonicamente, il negozio giuridico si perfeziona quando si presta il consenso verbale nei confronti dell’operatore che fa la proposta di acquisto di beni o servizi. Infine, negli acquisti per corrispondenza, il perfezionamento della transazione coincide con il ricevimento dell’ordine da parte del venditore a mezzo lettera, mail, pec o fax, anche se quest’ultimo strumento è sempre più in disuso nella prassi commerciale che utilizza in modo prevalente la posta elettronica e il telefono.
Nonostante questo, il legislatore ha voluto introdurre un’eccezione nel caso delle vendite fuori dai locali commerciali. Si tratta di transazioni che avvengono fuori dai negozi fisici, e in questa categoria rientrano anche gli stand delle fiere che vengono equiparati al negozio fisico.
Fuori dai locali commerciali, la legge ammette l’esercizio del diritto al ripensamento da esercitare entro 14 giorni dalla consegna del prodotto anche senza specificare le ragioni del ripensamento. Il diritto di recesso va esercitato in modo corretto per non incorrere in nessun problema e il primo step è quello di inviare la comunicazione al mittente entro le 48 ore dalla consegna. La comunicazione può essere inviata con qualsiasi mezzo purché resti una prova certa e documentale dell’avvenuto invio, parliamo quindi della Pec, della raccomanda con ricevuta di ritorno, del telegramma, fax o telex che ottengono tutti una conferma del ricevimento da parte del venditore.
Facciamo un esempio: Tizio ordina un cellulare nuovo e sceglie come strumento di pagamento il contrassegno. Nei giorni successivi ripensa al suo acquisto e decide di non volerlo perché troppo caro o perché non lo desidera più. Certo della sua decisione, al momento della consegna da parte del corriere gli comunica di voler rifiutare il pacco, fa registrare tale scelta sul registro e senza perdere tempo invia una pec, un fax o uno degli strumenti sopra indicati al venditore. Seguendo tale procedimento, il postino non avrà nulla da obiettare e preso atto del diniego, sarà tenuto a rimandare l’articolo al venditore che, ricevuta la comunicazione correttamente, non potrà eccepire alcunché all’acquirente.
Attenzione, però, a rispettare i 14 giorni consentiti dalla legge, perché se si inviasse la comunicazione all’alba del quindicesimo giorno, si maturerebbe il diritto in capo al venditore a chiedere il risarcimento del danno per inadempimento di tipo contrattuale. Nonostante questo, dobbiamo rilevare un dato squisitamente pratico che viene dall’esperienza: sono rari i casi in cui un venditore di merce fuori dai locali commerciali decide di aggredire un acquirente pentito, chiedendogli il risarcimento e ricorrendo alle vie legali. Nella prassi il venditore accoglie la comunicazione di recesso considerandola come un esercizio regolare del diritto di ripensamento, con la conseguenza che la transazione si considera definitivamente annullata.
Quando non è Consentito il Diritto di Recesso
Come anticipato, non sempre il diritto di recesso può essere esercitato. Si tratta dei casi in cui il rifiuto della merce viene considerato illegittimo, legittimando il venditore a esercitare un’azione legale contro l’acquirente per inadempimento contrattuale con relativa richiesta di risarcimento dei danni. La ratio di questa scelta, da parte del legislatore, nasce dalla volontà di non causare danni economici o disagi organizzativi al committente.
I casi in cui non è consentito il rifiuto sono tassativi e possono essere così elencati
-Vendita di articoli alimentari o di utilizzo quotidiano che vengono consegnati regolarmente, dal momento che in questo caso il recesso causerebbe la loro scadenza
-Specifici servizi che siano stati eseguiti con il consenso dell’acquirente, prima che il termine per il recesso scadesse perché il ripensamento non avrebbe senso, dal momento che il servizio sarebbe già eseguito e la prestazione adempiuta
-Servizi che riguardano i trasporti, l’alloggio, il tempo libero, la ristorazione nei casi in cui la fornitura richiesta è prevista in un periodo specifico: pensiamo alla prenotazione di un evento che impegna la sala di un locale per un determinato giorno. In tale ipotesi il diritto al ripensamento comporterebbe non solo un danno per le provviste già acquistate, ma anche una perdita di chance che deriva dal mancato utilizzo della sala per altri clienti. Lo stesso vale per la prenotazione di un viaggio in nave o in bus, poiché il ripensamento impedirebbe alla compagnia di impegnare quei posti a sedere, perdendo un guadagno
-Merce confezionata in modo personalizzato o realizzata su misura: basti pensare a un ordine di magliette con lo stesso logo o a divise sportive del medesimo colore e con uguale stampa, il cui ripensamento comporterebbe l’inutilizzo della merce e dunque una perdita per l’azienda che ha anticipato la fornitura senza guadagnare nulla
-Servizi o beni il cui costo è strettamente legato a cambiamenti dei tassi finanziari che il venditore non è on grado di controllare: in questo caso un aumento del valore di quei beni o servizi causerebbe una perdita economica anche importante che aprirebbe la strada a un’azione legale contro l’acquirente che ha esercitato il diritto di ripensamento in modo illegittimo
-Articoli che hanno ad oggetto software o audio/video che il consumatore ha aperto prima di esercitare il diritto al ripensamento: si tratta, infatti, di prodotti delicati che potrebbero graffiarsi e non essere più vendibili, oltre al fatto che sono facilmente riproducibili.
-Stesso discorso per periodici e giornali che dopo 14 giorni non hanno più alcun interesse.
Rifiuto di un Pacco in Contrassegno e Spese di Restituzione
Come ben chiarito fin qui, un pacco ricevuto in contrassegno si può rifiutare purché si rispettino le regole previste per il diritto al ripensamento. Una domanda che viene posta spesso dal consumatore riguarda le spese postali della restituzione dell’articolo al mittente: a chi spettano? In questo caso il costo ricade sul mittente e cioè sul venditore, che dovrà farsi carico anche del costo per riottenere la merce invenduta.
Questa regola, ovviamente, viene rispettata solo se il consumatore ha esercitato in modo corretto il diritto di recesso. In caso contrario, infatti, il venditore potrà citare in giudizio l’acquirente per inadempimento contrattuale chiedendo anche il risarcimento per le spese postali sostenute.